Il Decreto per abbattere le liste di attesa, approvato oggi in Consiglio dei Ministri, ha le sembianze di una norma dal tipico sapore elettorale. Il Governo continua a non voler vedere le reali ragioni che hanno portato alla deriva del SSN: il definanziamento del FSN, la carenza di personale e l’assenza di una vera medicina territoriale.
Ciò che salta all’occhio è che si tratta di provvedimenti già previsti a legislazione vigente: le classi di priorità sono quelle definite dal Piano Nazionale delle Liste di Attesa (PNGLA 2019-2021) e ci sono anche indicazioni contenute nella Legge di bilancio per il 2024, sulle quali avevamo espresso tutto il nostro dissenso.
Non è pensabile che, per abbattere le liste di attesa si carichi ulteriormente di lavoro il personale del SSN, sottorganico e stremato da turni di lavoro massacrante. Così come non è accettabile che ci si rivolga ai privati, proponendo di unificare nei Cup le prestazioni e alzando il volume del business drenato dal pubblico, rendendo il SSN primo cliente del mercato privato, i cui datori di lavoro non stanno rinnovando i CCNL scaduti da tempo.
Per la rimozione del tetto di spesa per il personale sanitario pubblico che entrerà in vigore nel 2025, attendiamo il Governo alla prova dei fatti al momento della stesura della Legge di bilancio e, al contempo, lo sollecitiamo a indicare alle Regioni la determinazione del fabbisogno del personale.
Serve liberare risorse per la produttività e gli incarichi, per la valorizzazione professionale e la riqualificazione di tutto il personale sanitario, per dare continuità a quanto definito dal CCNL 2019-2021.
Serve un piano straordinario di assunzioni di tutto il personale sanitario e sociosanitario, anche per la concreta realizzazione della Missione 6 del Pnrr che, come dimostrato dalla ricerca prodotta dalla Uil nazionale, richiede 1 miliardo e 366 milioni di euro per circa 30.000 professionisti.
È necessario che la politica azzeri gli sprechi in Sanità nei bilanci regionali che, puntualmente, ogni anno, le sezioni regionali della Corte dei Conti segnalano al Paese.
In attesa di leggere nel dettaglio il piano, riteniamo che il problema principale sia la mancata indicazione delle coperture finanziarie, in quanto i 300 milioni di euro ventilati rappresentano soltanto una goccia nell’oceano. E come abbiamo sempre affermato, le riforme a costo zero non hanno mai dato i frutti sperati.
A nostro avviso, non è questa la strada giusta per arrivare a una maggiore equità e giustizia sociale e per dare risposte concrete agli oltre 4,5 milioni di persone (in aumento del 7% rispetto all’anno precedente, 372 mila persone in più), che nell’ultimo anno hanno dovuto rinunciare a visite o accertamenti per problemi economici.
Tra l’altro, la quota della rinuncia a prestazioni sanitarie cresce con l’aumentare dell’età: si registra un picco nelle persone con età compresa tra i 55 e i 59 anni (l’11,1% del totale) e resta elevata tra gli anziani over 75 (il 9,8% del totale).
In conclusione, servono finanziamenti aggiuntivi e adeguati rispetto a quelli già previsti dal Fondo Sanitario Nazionale; maggiori risorse per i rinnovi contrattuali; una riforma fiscale improntata a principi di equità e progressività; una lotta agli sprechi dei SSR e, infine, occorre riaprire in Europa la partita del MES.